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![]() | ![]() di Giancarlo Bregantini |
In questa intervista a padre Giancarlo Bregantini, raccolta da Maurizio Blondet, giornalista di Avvenire, il vescovo di Locri racconta l'esperienza di chi si è visto uccidere un familiare e di chi ha lasciato le cosche.
Monsignor Giancarlo Maria Bregantini, il vescovo di Locri? "È in visita pastorale", rispondono in Curia, e mi danno qualche numero di telefono: nelle sue visite pastorali, il vescovo si ferma e cena in case diverse, ospite di cristiani nell'Aspromonte. "Come facevano i primi apostoli", gli dico, quando il padrone di una di queste case amiche me lo passa. Il vescovo capisce subito che cosa voglio dire, e difende (lui nato trentino) la "sua" Calabria. "No, questa non è una terra di missione. Non più del Nord, mi creda: qui non ci sono le discoteche, con la sazietà, e il vuoto di morte che rivelano. Qui c'è più violenza, più passionalità. Ma ci sono segni più autentici, perché proprio qui costano più fatica".
Ma la Calabria è una terra di faide, vendette, odi
irriducibili. E lei è impegnato a risanare queste ferite. Non è
frustrante?
"Il perdono non matura in un giorno. Non è come in tv, dove i giornalisti
dicono alla vittima ancora sanguinante: Hai perdonato? Perdoni i tuoi aggressori?
Sono domande sciocche. Bisogna chiedere invece: che cosa fa la comunità,
per accogliere, sostenere chi non riesce a perdonare?".
Lei può rispondere?
"Guardi, è un percorso lungo. So di una giovane donna e madre, che
ha visto uccidere il marito. Erano in auto, si sono fermati al semaforo: qualcuno
s'è avvicinato e ha sparato a lui, che guidava accanto a lei. Quella
donna, quella mamma, mi ha raccontato delle sue orribili notti: rivedeva ogni
notte gli spari, il sangue. E ogni notte, tornavano quei mostri notturni, l'odio,
la sete di vendetta".
Senza speranza?
"No. La preghiera, a poco a poco, allontana i mostri notturni. Quella donna
è giunta a tramutare la sua sofferenza in offerta".
Ma come ha potuto pregare, se ha visto uccidere suo marito
accanto a sé?
"Qui, lo dico per esperienza, è importante l'incontro con una figura
di prete molto paterno. Un prete capace di pazientare con chi, nel dolore, maledice
Dio, la vita e il prossimo. L'incontro con il sacerdote, il confidarsi, è
l'inizio di una liberazione: la rilettura intima del fatto, la conquista di
una qualche serenità. Ma non basta".
Che cosa occorre di più?
"Non basta la conquista individuale. Occorre una comunità che accolga
quella persona ferita dalla violenza. La parrocchia, spesso, fatica molto in
questo. Fortuna che abbiamo qui dei gruppi del Rinnovamento nello Spirito. Piccoli
gruppi, che esercitano il ministero della consolazione".
Ministero della consolazione?
"La capacità di stare vicino a questi feriti nel cuore: ai separati,
ai rifiutati, agli smarriti nell'odio. I gruppi del Rinnovamento lo fanno. Pregano
insieme con loro, che non riescono a pregare. Cantano insieme: e i canti, i
canti soavi, possono fare molto".
D'accordo, ma...
"Abbiamo avuto un'esperienza, qui. Un'esperienza molto pubblica. A Bovalino
abitava un fotografo, Lollo Cortisano, che nel luglio '93 è stato sequestrato:
non si sa più nulla di lui. Nemmeno dov'è il suo corpo, e questo
aumenta tremendamente il dolore della famiglia. Tre anni fa, nella giornata
della pace, una delle figlie di Cortisano ci ha scritto una pubblica lettera.
Dove perdonava gli ignoti assassini. Il senso di quella lettera era: perdonali,
perché non sanno quello che fanno".
Le parole di Cristo in croce. Ma queste sono le vittime.
Immagino che i criminali, i violenti, non rispondano.
"Di un caso ho parlato in una lettera pastorale dell'anno scorso. Qui non
posso farle il nome: si tratta di un giovane della Locride. Entrato nella malavita
organizzata perché era intelligente e disoccupato, e "quel"
potere gli prometteva soldi, auto, belle donne. Infatti, la cosca l'ha utilizzato
a un livello altissimo: siccome parla cinque lingue..."
...Cinque lingue, e disoccupato?!
"...Parla le lingue, così la cosca l'ha utilizzato per il riciclaggio
del denaro sporco".
E lui ha avuto denaro, belle auto, belle donne.
"Anche un colpo di lupara. Coinvolto nel giro delle faide, il giovane è
stato vittima di un attentato. I sicari l'hanno lasciato nel suo sangue per
la strada, convinti d'averlo ucciso. Invece s'è ripreso. Lì ha
deciso di cambiare".
Di colpo?
"È sempre un lungo processo. Una cognata, molto vicina alla Chiesa,
ha sostenuto quel giovane nel lungo cammino. Non facile. Oggi, lui vive all'estero,
nascosto. Ma due anni fa è venuto, e mi ha chiesto di confessarsi. Una
mattinata intera. Abbiamo pianto insieme. Ora vive da cristiano. Chiesa, Messa,
volontariato...".
Volontariato cattolico?
"Sì. Anche qui, i nostri giovani dell'Unitalsi, ci sono di molto
aiuto nell'affiancare chi percorre la via, difficile, del perdono. Perché
donando uno cura le sue ferite".
A proposito: so che una sua cooperativa, fondata a questo
scopo, s'è vista negare il certificato antimafia.
"Che cosa vuole, il prefetto ha agito correttamente: la cooperativa, che
produce lamponi, comprende due giovani i cui genitori sono nella malavita; a
Platì, che è una zona "impegnativa"".
Capisco.
"Ma dalla cosa è nato un bene. Un vivo dibattito fra i giovani:
è giusto che le colpe dei padri ricadano su figli che vogliono cambiare?
È ancora il tema della riconciliazione, ma spostato più in alto:
è capace, lo Stato, di riconciliarsi coi figli dei mafiosi? Di credere
nel loro cambiamento?".
Già: è capace?
"Pochi giorni fa è arrivato qui Ottaviano Del Turco: per sbloccare
la pratica e appoggiare, con la sua autorità morale e istituzionale,
la decisione del prefetto (che ci aveva concesso infine il certificato). Del
Turco ha detto a uno di quei due giovani: "Ci fidiamo di te, non ci tradire".
E il ragazzo: "Non tradirò la vostra fiducia". Ci ho visto
un segno di Dio. Ma senza ingenuità, mi creda. So che tutto è
difficile. Come ha detto Del Turco, qui "la vera medicina dei mali calabresi
è il lavoro". E questa medicina è scarsa".