Gennaio 2003


"PACEM IN TERRIS", UN IMPEGNO PERMANENTE

di Lidio Zaupa



Quando il 3 dicembre scorso sono uscito dall'aeroporto di Abidjan per involarmi verso Ayamé, la piccola cittadina che si trova ad est della Costa d'Avorio, sono stato colpito da alcune camionette piene di militari che sfrecciavano veloci lungo le strade della metropoli ivoriana. La Costa d'Avorio ha vissuto gli ultimi decenni sostanzialmente sempre in pace. E' vero che dal Natale del 1999 alcune cose sono cambiate, le tensioni cresciute e le contrapposizioni diventate sempre più forti. Ma non sembrava davvero che questo Paese in rapida crescita economica e capace di accogliere tra i suoi confini milioni di emigranti, potesse in breve tempo essere preda di alcuni reparti militari armati fino ai denti di cui non si conosce ancora la provenienza e il sostegno.
La guerra fa paura. L'abbiamo scoperto, con il gruppo di volontari con cui sono sceso in Africa per l'inaugurazione del dispensario di Songan, in ogni villaggio dove alcuni giovani avevano organizzato posti di blocco. Ti guardano, controllano, esigono. Non è bello. La gente non è serena perché in quest'isola felice la guerra era sconosciuta. Vedendo sul giornale locale le foto di giovani rimasti uccisi lungo le strade delle città occupate, si freme e ci si indigna. Ancora una volta l'Africa è stata colpita nella sua voglia di sviluppo e di novità. Erano molti i giovani da queste parti che avevano sognato un mondo diverso, fatto di incontro e di dialogo, di amicizia e di solidarietà. Molte delle loro attese oggi sono andate deluse, i sogni infranti, il futuro incerto. Molti di loro stanno rispondendo alla chiamata alle armi per combattere i ribelli: occhio per occhio, dente per dente. La dura legge del taglione è dura da morire.
Qualche volta mi viene da pensare che tutto questo non è poi tanto dissimile dal nostro modo di ragionare e di affrontare la vita. Anche noi abbiamo paura, non forse di una guerra immediata, ma della guerra contro il diverso che ogni giorno dobbiamo combattere, contro le bande armate che agiscono anche dalle nostre parti, contro i nostri figli che prendono strade sbagliate, contro i nostri vecchi che ci infastidiscono con le loro intemperanze, contro i vicini che non riusciamo ad amare, contro… contro…
L'inizio del nuovo anno ci porta per altre strade. Il Papa, nel messaggio per la giornata mondiale per la pace del 1 gennaio 2003, ci dice che la pace è un impegno permanente. L'ha fatto commemorando il 40mo anniversario dell'enciclica di Giovanni XXIII "Pacem in terris", il primo documento che un Papa ha rivolto non solo ai cattolici ma a tutti gli uomini di buona volontà. Perché la pace va costruita insieme, non è prerogativa dei soli credenti, è un bene di tutta l'umanità e da tutti va salvaguardato.
Sono quattro i punti ben saldi che il Papa pone perché la pace abbia solide fondamenta: la verità, la giustizia, la carità e la libertà. Parole antiche ma mai vissute pienamente perché l'uomo è sempre segnato dal peccato originale, sempre piccolo e incapace di rispondere in modo pieno e adeguato al grande progetto di pace di Dio. Soprattutto oggi che il mondo è diventato villaggio globale si impone in maniera forte l'esigenza di rispettare le grandi direttrici che costruiscono la pace.
La pace oggi ha bisogno di nuovi costruttori, di nuovi testimoni che siano capaci con la loro vita di porre dei segni che mostrano la pace. E ci sono. Li ho incontrati anche nella mia ultima visita ad Ayamé, in Costa d'Avorio: alcuni giovani laici che stanno dedicando un pezzo della loro vita alla gente di qui. Giacomo, Emy, Lorenzo, Rosalia, Mirco, Tommaso: dietro ad ogni volto c'è una persona che ha deciso di non usare solo parole per costruire la pace ma di mettere la propria vita a servizio soprattutto dei più poveri perché possa davvero nascere quel mondo fondato sulla verità, sulla giustizia, sulla carità e sulla libertà.