Storie di ordinaria immigrazione


Non si possono fermare le migrazioni. […]
A spingerle c'è la guerra, la tirannide, la povertà e
- movente potentissimo, e appena ieri così italiano -
la voglia di cercar fortuna
girando il mondo sano; e ad adescarle è la nostra
ricchezza impigrita, la nostra vecchiaia,
il nostro Gran Bazar sul quale scintilla l'invito:
"Venite da noi"

Adriano Sofri

Mariana è moldava, ha 21 anni e da più di un anno lavora come "badante" presso una signora di Verona.
Ha potuto beneficiare della sanatoria ed è stata regolarizzata. E', quindi, in attesa della convocazione avanti lo sportello polifunzionale dell'immigrazione per ottenere il permesso di soggiorno. Sembrerebbe tutto a posto, ma mi viene a trovare e mi racconta la sua storia. "Nel luglio del 2000 volevo andare a Mosca da mia sorella: mia madre è morta e mio padre si è risposato. Mi sono affidata ad una signora del mio paese che organizzava viaggi per la Russia. La sera fissata per la partenza sono salita su un pullman insieme ad altre ragazze. L'indomani ci siamo accorte che non stavamo andando a Mosca. Siamo scese in Italia e siamo state costrette a prostituirci. Una sera è scoppiata una lite tra me e coloro che mi costringevano a farlo. Ero per strada, mi stavano picchiando quando si è fermata una macchina. Le persone che erano a bordo, una coppia italiana, hanno chiamato la polizia. Sono stata portata al commissariato, hanno scoperto che non avevo né passaporto né visto di ingresso né permesso di soggiorno. Mi ha quindi consegnato il decreto di espulsione ed il foglio di via. Con l'aiuto economico della coppia italiana sono riuscita a tornare in Moldavia. Nel luglio del 2001 sono rientrata in Italia con un visto turistico rilasciato dalla ambasciata olandese di Kiev. Da allora ho sempre lavorato come badante e nessuno sa niente del mio passato. Ora ho paura che al momento in cui verrò chiamata per il permesso di soggiorno quella brutta storia del mio passato salti fuori. Cosa mi succederà?"

Rachid è marocchino, è in Italia con regolare permesso di soggiorno e lavora come operaio in una grossa azienda del veronese, ma non riesce a trovare casa. "Nessuno affitta una casa a noi immigrati". Qualche mese fa, all'uscita di un'agenzia immobiliare, viene avvicinato da un signore di mezza età, italiano, che gli offre un alloggio. Un appartamento in zona Veronetta, ricavato dalla suddivisione di un immobile più grande, composto da due stanze. Il bagno e la cucina sono in comune con altri alloggi. Gli chiede un affitto di 700 euro al mese. In mancanza di meglio, Rachid accetta. A distanza di qualche tempo viene a sapere che il proprietario dell'alloggio non è chi glielo ha dato in affitto, ma un'altra persona, di cui non conosce le generalità, e che si trova all'estero. Ha paura e si rivolge a me per sapere cosa deve fare.

Ioan e Adam sono rumeni. Sono arrivati in Italia due anni fa e hanno chiesto asilo politico. La loro domanda, a distanza di più di due anni deve ancora essere esaminata. Nel frattempo, con la ricevuta di presentazione della richiesta di asilo, rilasciata dall'autorità competente, sono riusciti a trovare un lavoro preso una cooperativa. Nonostante la prestazione da loro resa sia di fatto una prestazione di lavoro subordinato, è stato fatto loro firmare un contratto di collaborazione coordinata e continuativa che prevede meno oneri economici per la cooperative e meno garanzie per Ioan e Adam. Quando entra in vigore la sanatoria, essendo in possesso dei requisiti richiesti dalla legge, chiedono alla cooperativa di presentare la domanda per la loro regolarizzazione. La richiesta di sanatoria poteva, infatti, essere presentata solo dal datore di lavoro. Accampando varie scuse, la cooperativa nega loro questa possibilità. Ioan e Adam si rivolgono a me chiedendomi se potevo fare qualcosa. Scrivo, inizialmente, una lettera alla cooperativa chiedendo che, in conformità alla normativa appena entrata in vigore, vengano regolarizzati. Non solo non ottengo alcun riscontro, ma addirittura i miei assistiti vengono pesantemente minacciati. Ioan e Adam non desistono: sanno che la domanda di sanatoria costituisce una opportunità unica per uscire dalla clandestinità definitivamente . Ma ormai mancano pochi giorni alla scadenza del termine per la presentazione della domanda. Insieme decidiamo di seguire la strada già intrapresa da altri avvocati di Milano e di rivolgerci al tribunale affinché, accertato che sussistono i requisiti richiesti dalla legge, ordini alla cooperativa di presentare la domanda di sanatoria. E' una scelta difficile: in pratica è un'autodenuncia ma è l'unica soluzione possibile. Il Giudice del Lavoro, nonostante un ruolo già carico, ci fissa l'udienza per il penultimo giorno utile. All'udienza, grazie anche all'intervento informale del giudice, la cooperativa decide di presentare la domanda. Ioan e Adam ce l'hanno fatta per ora, ma ancor oggi continuano a subire ritorsioni di ogni tipo.

Queste sono solo alcune delle storie che mi sono state raccontate e che ho vissuto da quando, nel mese di luglio, in pieno dibattito parlamentare per la legge Bossi-Fini, ho deciso di offrire la mia collaborazione, in qualità di avvocato esperto in diritto del lavoro, allo Sportello Migranti e Rifugiati Politici di recente istituzione presso il Centro Sociale Caesar K.

Lo Sportello era, ed è, essenzialmente un servizio rivolto ai cittadini extracomunitari irregolari che assai spesso non trovano riscontro ai loro problemi presso i centri c.d. istituzionali.

Ho accettato di collaborare con entusiasmo ed interesse, spinta soprattutto dalla profonda convinzione che nell'attuale contesto politico-economico, costituisca un mio preciso obbligo morale offrire la possibilità di tutelarsi giuridicamente a chi si trovi in una situazione di emarginazione. E non vi è dubbio che i cittadini extracomunitari irregolari sono emarginati!

Sentire dalla viva voce dei diretti interessati tutte quelle storie che siamo abituati ad ascoltare in televisione o a leggere sui giornali mi ha toccato profondamente, mi ha spinto a domandarmi perché molti esseri umani sono costretti a tali ingiustizie e mi ha costretto a confrontarmi quotidianamente con una realtà sino ad ieri solo immaginata.

Il comune denominatore di moltissime storie è lo sfruttamento: lo sfruttamento della vita umana in tutte le sue molteplici sfaccettature!

Le tre storie che ho scelto di riportare sono solo un esempio! Ve ne sono altre, tante altre….!

Ma ciò che più stupisce è che sono pochi coloro i quali decidono di sfruttare gli strumenti legali messi a loro disposizione per denunciare abusi, illegalità e sfruttamento, come se ciò facesse parte del prezzo da pagare per la loro sopravvivenza!

Ricordo che spesso, all'inizio di questa collaborazione con lo sportello, assai ingenuamente e forse anche stupidamente, dopo aver ascoltato le storie di chi mi si era seduto di fronte, cercavo di capire che cosa li spingesse qui, che cosa li trattenesse e domandavo "Ma perché sei qui? Sei sicuro di non stare meglio a casa tua?"….Una domanda che con il passare del tempo e l'ascolto di altre storie ho smesso di fare, una domanda cui nessuno vuole o può rispondere, perché la domanda non ha una risposta…si tratta solo di una scelta obbligata!